quattro bambini all'ospedale Corsu

Silvia Finazzo, operatrice dell’Ufficio Progetti di CBM Italia, ci racconta la sua missione in Uganda e l’incontro con Justine, la capo-infermiera del Reparto Infettivi dell’Ospedale Ortopedico e Riabilitativo CoRSU

A volte i miracoli non accadono da soli. Serve qualcosa, qualcuno, perché una speranza, un sogno irrealizzabile possa diventare realtà. L’ho capito un pomeriggio in Uganda, attraversando il Septic Ward, il Reparto Infettivi dell’ospedale CoRSU, costruito con il supporto di CBM Italia. L’ho capito grazie a Justine.

Silvia Finazzo, Ufficio progetti CBM Italia 

L’incontro con Justine

Justine è la capo-infermiera del Septic Ward, il Reparto Infettivi dell’Ospedale Ortopedico e Riabilitativo CoRSU che CBM sostiene in Uganda.

D’un tratto esce indaffarata da una delle camere che ospitano i piccoli pazienti. Ci sono 24 letti qui, quasi tutti occupati da bambini.

Vengono ricoverati per gravi infezioni, come l’osteomielite, che colpisce le ossa, o per evitare che un’infezione comprometta l’esito di un’operazione chirurgica.

Mi trovo appena fuori dalle porte che dividono l’accoglienza dal reparto.

C’è un via vai di infermiere, con i loro carrelli colmi di medicine, garze, forbici e tutto il necessario per medicare i pazienti; di bambini a bordo delle loro sedie a rotelle, che sfrecciano per il corridoio prima di essere richiamati dai genitori nelle camere. Dalla porta aperta, in fondo al corridoio, entra tantissima luce, bianca, abbagliante. 

Lì sulla soglia, mi fermo a osservare per un secondo Justine. Si è girata verso la stanza da cui era appena uscita, per sorridere a qualcuno. Alza la testa e mi vede. Allora prolunga il suo sorriso verso di me e mi fa cenno di entrare. Mi chiede se voglio seguirla mentre visita i pazienti e così insieme iniziamo a percorrere il corridoio del Septic. Entriamo nella prima stanza, a sinistra.

Qui ci sono quattro bambini, tutti hanno subito un’operazione di chirurgia ortopedica. Mi spiega Justine che, in questo caso, i bambini possono stare insieme nella stessa stanza perché nessuno di loro ha al momento un’infezione in corso.

Justine si avvicina a un bambino. Sulla sua gamba ci sono viti e barre metalliche. Si chiama Isaac, ha 10 anni, ed è a lui che Justine stava sorridendo poco fa. Conosce tutti i pazienti ricoverati. Conosce le storie di ogni bambino, il motivo per cui sono arrivati qui e di quali cure hanno bisogno.

Conosce i loro sogni, i loro desideri. Diventare maestra, giocare a calcio, tornare a scuola, camminare da solo. Conosce le preoccupazioni di ogni genitore che resta seduto lì, vicino al letto del proprio figlio.

La storia di Isaac

Justine mi racconta la storia di Isaac. Di come a pochi mesi di vita sia stato vittima di un terribile incidente domestico, un incendio che gli ha provocato gravissime ustioni su gran parte del corpo. E mi racconta di come la madre, avvisata dell’incendio, sia corsa a casa e abbia estratto suo figlio dalle fiamme, tirandolo dalle braccia, l’unica parte ancora non ustionata. 

Le ferite si sono poi rimarginate, le spesse cicatrici formano ora trame sulla sua pelle, indelebili. A due anni la gamba di Isaac ha iniziato a gonfiarsi e lui non è più stato in grado di muoversi autonomamente.

Scopro che Isaac è arrivato al CoRSU solo quest’anno, per essere finalmente operato. Justine mi spiega che Isaac e la madre sono rimasti soli quando lui aveva quattro anni e la madre non poteva permettersi un’operazione così complicata e costosa. Non appena ha scoperto che al CoRSU poteva curare suo figlio gratuitamente, non ha esitato un momento. Isaac è stato operato immediatamente ed è ora sotto osservazione presso il reparto Septic.

Qui, ogni giorno, medici e infermiere controllano la sua ferita e si prendono cura di lui. Chiedo a Justine se Isaac tornerà a camminare, la mamma è inquieta, teme che suo figlio non riesca a guarire e a tornare a scuola.

Ma Justine non ha dubbi, molti bambini arrivano qui a causa di ustioni gravi come quelle di Isaac. Lui starà bene. Lo guarda e lo ripete nella sua lingua locale. Isaac sorride, con il sorriso di chi ha già dovuto soffrire troppo, di un dolore che io no so neanche immaginare. Ma sorride, perché starà bene.

L’importanza di un sorriso

Andiamo avanti lungo il corridoio. Justine srotola le bende, controlla le ferite, disinfetta e medica, fa male, ma si deve fare. Justine lo sa, ma sa anche che basta un gesto gentile, una parola di conforto per ognuno di loro e pian piano il buonumore torna. Rivolge uno sguardo sicuro e tranquillo anche a chi resta lì al loro fianco, agitato, senza poter fare altro che tenere strette le loro piccole mani, sperando di poter in qualche modo assorbire il dolore che stanno provando.

Il nostro giro è terminato, siamo arrivate alla fine del corridoio. Percorrendolo ho incontrato agitazione, paura e, sì, dolore. Ma la vera essenza che riempie le stanze del Septic, la vera forza che ho sentito camminando per questo corridoio, è fatta di speranze, desideri, sogni.

Sai perché amo il mio lavoro? Perché qui spesso entrano bambini in condizioni critiche, ma quando escono sono sani e stanno bene. Per me, questo non è il reparto infettivi, questo è il reparto dei miracoli!

Justine

E mentre Justine torna al suo lavoro e io mi incammino verso l’uscita, penso che forse è davvero così. Penso che il Septic è davvero un «reparto dei miracoli». Ed è così grazie ai medici e alle infermiere come Justine, che dedicano ogni giorno, ogni istante, ogni gesto, affinché questi miracoli possano davvero accadere. Perché l’irrealizzabile possa diventare realtà. Il Septic, in Uganda. Justine, capo-infermiera. E poi un calcio al pallone, una camminata verso scuola.


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