Italia dopo la quarantena

Il nostro impegno in Italia continua. Nelle scorse settimane a Bergamo, al fianco di Fondazione Insieme con Humanitas, abbiamo allestito un centro di degenza per la quarantena dove pazienti guariti da COVID-19, ma ancora positivi, possono trascorrere un periodo di isolamento precauzionale prima di tornare a casa.

La struttura convertita per assistere queste persone è l’hotel BES di Mozzo. Qui 90 pazienti ricevono ogni giorno le giuste cure.

Abbiamo raccolto i racconti di alcuni di loro, insieme alle preziose testimonianze degli operatori e infermieri che lavorano nella struttura: ognuno  ha una storia da condividere.

Raffaello, paziente: “In quarantena per tutelare la mia famiglia

Ricordo bene la mattina del 21 marzo. Mi sono svegliato e avevo la febbre. Il mio obiettivo immediato è stato tutelare la mia famiglia e sono andato in un appartamento sotto al mio, in una situazione precaria”. Il 31 marzo, quando il suo stato di salute diventa critico, viene ricoverato in pronto soccorso e li si affida ai medici e alle loro cure: “Era l’unica carta che mi restava. Mi mancava il respiro e speravo in parole buone e rassicuranti”. Raffaello è uno di quei pazienti che una volta dimessi non possono tornare a casa perché l’abitazione non permette le giuste distanze e convivenze con la moglie e il figlio. Per questo viene trasferito al BES di Mozzo. 

Quando mi è stato detto che mi avrebbero trasferito qui mi sono posto molte domande. Mi chiedevo come sarebbe stato, se sarei stato protetto. Quando sono arrivato la prima persona che ho incontrato è stato un amico che lavora qui ed è stato subito come essere a casa. In hotel abbiamo una stanza singola, un bagno, la certezza che non vi sia contaminazione. Una condizione che rispetta me e la mia famiglia.

A casa lo aspetta sua moglie Tamara, da più di un mese sola con il bambino, divisa tra le difficoltà di gestire la famiglia e il lavoro: “Quando Raffaello si è ammalato, la cosa che mi faceva più male era non poter essergli di aiuto: mi sentivo impotente e la situazione andava via via peggiorando. Quando è andato in ospedale mi sono sentita più sicura perché qualcuno se ne sarebbe occupato; così come quando è stato trasferito al BES: il ritorno a casa sarebbe stato altrimenti complicato”. In attesa che il marito faccia i tamponi, Tamara spera che tutto questo finisca presto: “Vorrei tornare alla nostra quotidianità, a fare le cose di prima, anche solo sederci a tavola e mangiare insieme”.

Angela, infermiera: “Il calore umano ripaga degli sforzi e dei turni pesanti

Il ritorno a casa lo aspettano tutti. A confermarlo anche Angela, infermiera presso la struttura. “Se i primi giorni la priorità dei pazienti era quella di avere un contatto umano, adesso è quella di fare il tampone. È la tappa che occorre per mettere la parola fine a questa disavventura. Tutti vogliono tornare a casa e alla normalità, anche se all’interno dell’hotel sono abbastanza tranquilli e sereni”. Angela, così come tutti gli altri infermieri, ha il compito di controllare i parametri vitali di salute dei pazienti e di monitorare che la situazione sia e resti stabile.

I pazienti sono riconoscenti in maniera esagerata: ci dicono continuamente grazie e ci definiscono angeli. Tutto questo calore umano ti ripaga degli sforzi e dei turni pesanti. Anche se stanca, a volte resto volentieri e non sento la necessità di tornare a casa proprio perché c’è un obiettivo più grande: la cura dell’altro.

A definirli angeli sulla terra senza ali è anche Aniello, un altro paziente che, risultato negativo ai tamponi, è in attesa di essere dimesso: “Tutti hanno messo davanti alla professionalità l’umanità. Capiscono il tuo disagio, cercano di aiutarti e di rendere questo periodo il meno brutto possibile”.

Orietta, operatrice sanitaria: “Le difficoltà di stare in isolamento

Che il lavoro all’interno del BES sia diverso per tutti, ma anche più motivante, ce lo dice anche Orietta, operatrice socio-sanitaria:

Quando entriamo nelle stanze, i pazienti tendono sempre a raccontarci qualcosa. Nel limite del possibile cerchiamo di ascoltarli e di scambiare con loro due parole. Stare soli in stanza non è semplice: è normale che abbiano questa voglia di socializzare e questa ansia che presto tutto finisca. Nei momenti di pessimismo cerchiamo di tirarli su di morale, di spronarli a vedere la cosa in modo positivo: il fatto di essere arrivati lì è già una cosa importante.

Antonella, psicologa: “Le persone hanno la necessità di raccontare ciò che hanno vissuto

A sostenere i pazienti in questa fase sono anche i sei psicologi impegnati nel supporto psicologico a distanza, tra cui Antonella:

Il supporto psicologico è importante perché siamo in una situazione di emergenza senza precedenti. Le persone hanno la necessità di raccontare, anche solo per essere ascoltate. Il nostro compito professionale è di trovare nel loro racconto quella particolarità da sottolineare, quell’approfondimento emozionale su cui poter lavorare. Dai racconti emergono sentimenti di rabbia, di impotenza, di colpa, di ansia, di preoccupazione, di imbarazzo, di confusione: aspetti emotivi dovuti al fatto che eravamo impreparati. Il percorso li aiuta a vedere aspetti di positività, di normalizzazione e di speranza per il futuro.

Manuela, receptionist: “Il momento più bello? Il ritorno a casa

Un futuro che sognano a partire dalla dimissione, quello che resta il momento più toccante, come ci racconta Manuela, una delle quattro addette alla reception dell’hotel: 

L’emozione più bella la viviamo quando vediamo i pazienti dimessi. Tutti vogliono tornare a casa, aspettano il tampone e sono impazienti: sono come dei bimbi in attesa del Natale. Il ritorno a casa, alla normalità, che diamo per scontata, diventa un momento bellissimo. Questo virus sta toccando tutti, i numeri dei malati e dei morti non possono lasciare indifferenti, ma vedere chi lotta e ce la fa è bello: segna e insegna.


{{ errors.first('firstname') }}
{{ errors.first('lastname') }}
{{ errors.first('email') }}