Lo scorso 21 novembre è stato lanciato il 13° Rapporto di aggiornamento sul monitoraggio della Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza: “I diritti mancati di una generazione sospesa tra sogni e incertezze”.
Il documento, che nasce anche dall’analisi e dal confronto con operatori e professionisti, ha lo scopo di monitorare l’applicazione in Italia della Convenzione Onu sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza e restituire una fotografia aggiornata sulla condizione in cui vivono i minori nel nostro Paese. Il rapporto è pubblicato ogni anno grazie al lavoro del Gruppo di lavoro CRC – Convenzione sui Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza, di cui fa parte anche CBM dal 2022.
Le nuove generazioni si trovano a vivere una situazione difficile, come se fossero senza voce, “sospesi” nell’incertezza e nel malessere e quella dei bambini e dei ragazzi con disabilità si rivela purtroppo ancora più complessa. Qui daremo spazio ad alcune evidenze e ambiti per restituire una sintesi di questa complessità.
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La mancanza di dati
La carenza di dati quantitativi e qualitativi rispetto al mondo delle persone con disabilità (soprattutto se si tratta di minori, in particolare nella fascia d’età 0-5 anni) è un problema di cui associazioni, fondazioni, esperti discutono da tempo. Di fatto, la scarsità di dati ostacola la realizzazione delle politiche di sostegno e assistenza, l’impiego efficace dei fondi per l’inclusione, l’accesso al lavoro, all’istruzione e allo sport, l’eliminazione delle barriere architettoniche e la progettazione di luoghi inclusivi.
I dati più affidabili provengono dall’Istituto Nazionale di Statistica (ISTAT) e sono raccolti all’ingresso del sistema scolastico obbligatorio. Anche qui le informazioni nella fascia d’età 0-5 anni sono molto lacunose: dalla scuola dell’infanzia a quella primaria i bambini con disabilità raddoppiano e questo fenomeno va probabilmente collegato alla condizione “sommersa” dei bambini con disabilità non certificati prima di quel passaggio.
Attualmente l’ISTAT sta lavorando a un “Registro sulle Disabilità” che speriamo riesca a integrare anche la fascia dei più piccoli.
La situazione nelle scuole
Le risorse del sistema scolastico ed educativo italiano risultano insufficienti rispetto alle esigenze degli alunni e delle alunne con disabilità che, insieme alle loro famiglie e agli insegnanti, si sentono spesso soli e senza risposte.
Nei territori dove l’offerta di servizi educativi per l’infanzia è più carente (Sud e Isole), molte scuole dell’infanzia, che accolgono una percentuale consistente di bambini e bambine nel terzo anno di vita, non offrono loro situazioni educative e sociali adeguate.
Inoltre, è scarsamente garantito agli alunni e alle alunne con disabilità il diritto all’autodeterminazione, a partecipare alle decisioni e alle scelte che riguardano la propria vita. Nonostante le raccomandazioni delle linee guida sull’inclusione scolastica di bambini e bambine con disabilità dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, è ancora scarsa la formazione del personale scolastico sugli strumenti a supporto del processo decisionale, soprattutto per i minori con disabilità sensoriale, intellettiva e con disturbi del neurosviluppo.
La stessa situazione critica si riscontra per le risorse didattiche, la formazione, la presenza discontinua dello stesso docente di sostegno nella classe. Quest’ultimo aspetto in particolare compromette la realizzazione del processo inclusivo non solo per l’alunno con disabilità, ma per l’intera classe in ottica di corresponsabilità educativa.
Se parliamo di accessibilità, solo un terzo degli edifici scolastici è privo di barriere fisiche. Per esempio, in molte scuole l’ascensore non è adeguato alle persone con disabilità motoria, mancano servoscale interni, bagni a norma per le persone con disabilità. Una scuola che non riesce a rispondere alle esigenze di tutti non può dirsi inclusiva.
Anche se il fenomeno delle discriminazioni è poco indagato, è facile immaginare in questo scenario che bambini e ragazzi con disabilità possano essere discriminati in ambito educativo, scolastico, extrascolastico, vedendosi negare il diritto, per esempio, all’istruzione domiciliare, a partecipare ad attività educative, alle gite scolastiche.
Cosa possiamo fare?
In questo scenario, il 13° Rapporto del gruppo CRC individua alcune proposte e riflessioni, come il ripensamento degli strumenti nazionali di programmazione che spesso restano sul piano teorico e non riescono a sviluppare politiche efficaci per il raggiungimento di obiettivi prioritari.
Per esempio, è urgente l’implementazione del Piano di Azione Nazionale della Garanzia Infanzia per l’individuazione di misure specifiche a supporto di soggetti a maggior rischio povertà e di esclusione sociale, come i bambini con disabilità, per favorire la loro piena partecipazione attiva.
Allo stesso modo, sarebbe importante definire a livello nazionale i profili professionali degli assistenti per l’autonomia e per la comunicazione per garantire a ogni alunno con disabilità il diritto all’assistenza di personale qualificato e adeguatamente formato.
Più di tutto è necessario facilitare processi di partecipazione per tutti i minori con e senza disabilità perché possano prendere parte attivamente alle decisioni che riguardano i vari ambiti del loro futuro come il lavoro, l’abitare, l’affettività. Ascoltare quello che i ragazzi e le ragazze hanno da dire, quali sono le loro esigenze, creare insieme soluzioni che incontrino i loro bisogni nella scuola come in altri contesti di crescita è una necessità, non più un’opzione.
Il prossimo incontro del gruppo CRC con il Comitato ONU sarà l’occasione per portare l’attenzione delle istituzioni sugli aspetti di debolezza e di forza di un sistema che va cambiato nel profondo con una risposta collettiva di responsabilità verso le nuove generazioni.